Monte Greco

Dall'Aremogna una lunga traversata a quota 2000


Ormai era una questione di puntiglio, avevo incuriosito così tanto Marina col monte Greco che in una maniera o in un’altra, dovevo riuscire a farcela arrivare; la scorsa settimana, salendo da Passo Godi abbiamo fallito il primo assalto, ci riproviamo dal versante opposto con la classica traversata dall’Aremogna sopra Roccaraso. Diciamo che anche in questo caso una bella spinta ce l’ha data l’afa di questo periodo e l’esigenza di passare un paio di giorni al fresco alle quote più alte, per cui trovato l’alloggio in quella splendida icona abruzzese che è Pescocostanzo, rispolverare il progetto monte Greco è stato un attimo. Stavolta coi tempi giusti, alzandoci presto e gustandoci una delle più belle colazioni della nostra storia presso il garni Lo Scrigno, deliziosa struttura di questo incantevole paese, arriviamo ai piani dell’Aremogna intorno alle otto, il trasferimento da Pescocostanzo dura solo una ventina di minuti; il parcheggio è tutto nostro, la solitudine di questo posto fuori dalla stagione invernale è devastante. Prendiamo per le larghe piste da sci, brutte ma efficaci allo scopo, Toppe del Tesoro è lassù davanti a noi, saliamo dal versante sinistro, una salita panoramica ma monotona e a tratti anche irta viste le pendenze accentuate. Pochi motivi di interesse, lo scorcio sul bastione delle Toppe, il panorama che si allarga fino al monte Secine e alla Majella ma la foschia accorcia gli orizzonti e soprattutto amalgama terribilmente tutto, quindi la missione diventa essenziale, accorciare il più possibile questo tratto quasi inutile se non a guadagnare quota. La monotona ma breve salita termina all’arrivo del nuovo impianto della seggiovia delle Gravare, ormai poco sotto le Toppe; alle spalle della struttura si libera un orizzonte vastissimo sull’altopiano che andremo a percorrere, tra la caligine della mattina estiva i profili sono appiattiti, delle Mainarde fino a quelli della lunga Serra di Chiarano sembra un unicum di rilievi, nel mezzo la mole rocciosa del Greco come ad evidenziare la sua supremazia sulle montagne del parco. Una pista ampia, anche questa nuova rispetto all’ultima volta che salii, scende a sinistra verso la sella sottostante dove poi imbocca ancora sulla sinistra la discesa verso la valle. Alla sella imbocchiamo il sentiero che devia sulla destra e entra nel pianoro, tracce di auto puntano il rifugio regionale Chiarano Spervera vicino e ben visibile col suo color rosso mattone, attraversiamo rigogliose fioriture di Genziana ed un bosco di ortiche altissime. L’altopiano, è tutto lì davanti, la vetta del Greco spunta all’orizzonte nel mare di piccole e tonde elevazioni che distinguono questo territorio, la sensazione che sia vicino è solo una illusione ottica. Raggiungiamo la nuova costruzione del rifugio regionale, è aperto, spoglio con un grosso camino utilizzabile nella prima delle due stanze, dietro, lì accanto e più piccolo dotato di un’unica stanza, il più minuto e antico stazzo Antone Rotondo, spoglio da suppellettili ma anche questo utilizzabile. Aggiriamo le due costruzioni ed imbocchiamo per qualche centinaio di metri la carrareccia che attraversa il pianoro verso Nord, ad una leggera curva verso destra la abbandoniamo e puntiamo un’altra traccia di auto che si dirige verso sinistra e verso una evidente presa di raccolta acqua di scolo; la seguiamo per pochissimo e deviamo sulla dorsale tonda e ampia che sale verso un evidente e grosso omino. Parlare di dorsali in questo altopiano è decisamente improprio, è composto da piccole tonde elevazioni, tutte erbose e poco accentuate, salirne ogni tanto una permette di allungare lo sguardo verso l’orizzonte ma quasi mai il sentiero sale in cima, scivola quasi sempre intorno a queste gibbosità scorrendo dentro quelli che impropriamente chiameremo fossi ma che sono solamente degli avvallamenti. Dall’omino scrutiamo il territorio intorno a noi alla ricerca di un sentiero o di qualche traccia, all’apparenza sono solo gli omini sparsi sulle cime delle gobbe a dare suggerimenti, poi una volta che ci si adatta all’uniformità della steppa qualche sottile linea di calpestio si inizia ad intravedere, che siano davvero dei sentieri lo sapremo solo una volta che le avremo imboccate; non raggiungiamo l’altro omino in cima alla gobba successiva, intercettiamo prima quella linea intravista e che a fatica avvicinandoci riusciamo a leggere bene. E’ di fatto una traccia, lineare, segue le linee ed aggira le gobbe, nessun omino e nessuna segnaletica, per quel che si legge potrebbe essere anche calpestio delle bestie al pascolo. Troppo precisa la traccia però quando attraversa un tratto di rocce sporgenti, troppo chiara nella scelta dei passaggi e delle linee di quota, quando scende in un avvallamento leggermente più pronunciato un segnale bianco rosso è bellamente stampato sulla roccia, uno, uno solo in un mare di nulla. A tratti più marcata a tratti meno non perdiamo mai la traccia, non che ce ne sia bisogno, anche senza, in una giornata come questa, continuare a vista sarebbe il gioco più semplice del mondo, forse è addirittura più complicato seguire l’esile traccia che non continuare a vista. Nel frattempo che le temperature iniziano a salire ed il sole ad alzarsi il Greco si avvicina, è sempre più imponente la sua parete Est, ripida e piena di ghiaioni scoscesi, sulla cima quella che da lontano sembrava solamente si conferma essere una croce, mancava all’appello su questa montagna ed è stato posto rimedio. Continuiamo così per un paio d’ore sull’altipiano, senza troppi saliscendi, incontrando “foreste” di Genziane come mai mi è capitato, scorgendo ogni tanto tra le dune erbose la lunga cresta delle Serra di Chiarano e il lungo vallone omonimo, a dire il vero in questo periodo della stagione più somigliante ad una steppa che ad un altopiano appenninico. Per fortuna il vento oggi non ne vuole sapere di smettere di soffiare, ci aiuta non poco, arriviamo in paio d’ore all’attacco del traverso breccioso che sale verso la serra delle Gravare, porta di accesso da questo versante alla salita diretta al Greco. La linea di salita è ben visibile da lontano e raggiungerla in condizioni di buona visibilità è davvero intuitivo, si tratta di una piccola linea di pietrisco sconnesso trattenuto da grossi cespugli erbosi, ogni tanto un omino è stato costruito lungo la salita, li penso per aiutare una eventuale salita invernale; scavalliamo in cresta e ci ritroviamo di fronte, oltre la valle ad un chilometro circa il linea d’aria, la sella sotto Rocca Chiarano dove ci eravamo fermati solo una settimana prima. Stavolta il Greco è a portata di mano, l’attacco è a poche decine di metri sulla sinistra, il sentiero sottile e già evidente si avvita tagliando il versante ed evitando così una pettata micidiale da lì alla vetta. Concentrati sulle ultime fatiche saliamo lenti accompagnati dalla solita costante fresca brezza, ricordavo la tonda mole del Greco non finire mai, i ricordi vengono confermati ma tutto ha una fine e tra delle roccette scorgiamo la croce della cima. Siamo sul monte Greco, finalmente Marina è riuscita a salire sulla cima più alta dei Marsicani, peccato che l’estate il più delle volte vieti orizzonti puliti e lontani perché da questa montagna quello che si riesce a scorgere ha dell’incredibile. Tutte le Mainarde fino alle cime della Meta e del Petroso, per un gioco di prospettive sembrano avere continuità col Marsicano, davanti a noi più vicina, scorre tutta la cresta della Serra di Chiarano, dietro il Godi e più giù, con un po’ di attenzione si riescono a delineare bene la montagna Grande con l’Argatone ed i Terratta fino al Genzana e Rognone, nel mezzo l’immaginazione mi fa vedere il piccolo scrigno azzurro del lago di Scanno. Continuando verso Est, dietro il Pratillo e le Toppe del Tesoro la lunga cresta del Rotella, dietro ancora, confusa nella foschia ma inevitabilmente protagonista dell’orizzonte vista l’enormità della sua mole l’immensa Majella. Il bel profilo del monte Secine chiude ad Est la lunga fila di montagne. Una palestra per neofiti della montagna è il Greco, intorno abbiamo una grande lavagna realistica per studiare la geografia del territorio. Rimaniamo in vetta per quasi un’ora, cullati anzi sferzati da una brezza che si mantiene tesa e fresca, poche volte ci concediamo questo lusso ma nulla ci richiama al ritorno, non abbiamo incontrato nessuno da questa mattina e anche in vetta rimaniamo soli, solo il rumore del vento ma non riesce a distrarci; perso nelle linee dell’orizzonte seguo lentamente ogni dettaglio e mi diverto a dare il nome alle montagne, di più, ognuna mi rievoca le giornate che ci ho speso e sudato sopra, ancora di più ognuna mi riporta in mente i tanti amici con cui ho condiviso le mie prime salite. Giorgio C. nelle lunghe sgroppate sulle Mainarde insieme a Diego, Max e Luca, sempre Diego e Max sul Meta in compagnia dei loro ricordi da giovani lupetti, ho rivissuto tutti gli attimi della lunga salita delle vette del Petroso, della discesa lungo il ripido e selvaggio quasi inaccessibile vallone sotto la vetta principale fino allo Iammiccio, c’era Augusto con me, c’erano i colleghi del lavoro sul Marsicano quando tentai di farli innamorare alla montagna, ancora Giorgio C. e Luca sulla Montagna Grande, era il centesimo duemila per Giorgio e il primo per Luca, ho rivisto Diego sul Genzana in invernale quando beccammo così tanto freddo da non riuscire nemmeno a parlare. E poi il Rotella con i due Giorgi e Luca e la Majella laggiù in fondo con tanti ma tanti tanti altri amici e ricordi indelebili, su tutte le lunghe escursioni con Giorgio D.S. alla conquista dei miei ultimi baluardi e la traversata per la grotta Callarelli con Marina. Ma era il Greco stesso che si imponeva nei mei ricordi, per Luca era stato il primo traguardo importante, il suo centesimo duemila, ricordo la sua corsa verso la vetta, ricordo la sua bottiglia di spumante stappata e versata quasi interamente alla montagna tanta era la sua incontenibile felicità, ricordo il libro che mi donò in quel momento. Stavo rivivendo dei bellissimi momenti della mia vita, è stato come sospendere il respiro, sollevarsi in aria e diventare leggeri, fermare per un attimo nemmeno troppo breve lo scorrere del tempo. E su molte di queste montagne ho rivisto Marina quando gli ho fatto ripercorrere le mie vecchie emozioni, oggi era ancora su una cima a me cara, anche a lei a dire il vero per quanto l’ha inseguita e voluta. E’ destino che il Greco mi regali sempre dei bei momenti, questo di oggi rimarrà dentro di me per lungo tempo. La nuova croce, vale la pena spendere qualche parola sulla nuova croce di vetta, nuovissima a dire il vero, è stata posta solo il 1° Maggio di quest’anno dal comune di Barrea. Chi mi conosce sa bene come la penso, mi limito solo a dire che non ne sentivo affatto la mancanza; di contro e con obiettività devo dire che si tratta però di una bella croce, di un manufatto davvero notevole, complimenti al fabbro che l’ha costruita e chi l’ha disegnata. Dopo un’ora prendiamo a scendere, velocemente, sulla cresta devio verso la Serra delle Gravare, è una deviazione davvero minima, lo faccio solo per vedere lo stato del laghetto Pantaniello, ridotto ormai ad una pozza verdognola ma non del tutto secco. Riattraversiamo l’altopiano seguendo una linea diversa, dalla cima del Greco avevo cercato la linea migliore e più breve temendo una botta di calore; la linea era talmente logica che abbiamo trovato segni di un altro sentiero, dalla ampia dolina sotto il Greco abbiamo salito quello che è troppo chiamare fosso all’interno delle gobbe erbose che si avevano di fronte, si è ricongiunto col sentiero dell’andata fino a raggiungere di nuovo i rifugi e da lì la sella sotto la cima delle Gravare di sotto. Entrando nel versante dell’Aremogna, ormai in vista dell’arrivo il vento è cessato, la botta di caldo evitata sull’altopiano l’abbiamo presa scendendo su questo versante, non si arrivava mai ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Di certo non è una escursione da fare in questo momento dell’anno, è preferibile magari attraversare l’altopiano in inizio estate o in autunno, ma siamo stati fortunati per la presenza costante di un brezza fresca. Il monte Greco, ora Marina smette finalmente di sognarlo e può concentrarsi su un nuovo obiettivo.